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ICity Rate: la conoscenza al centro delle smart city

In occasione di Smart City Exhibition che comincerà a Bologna il prossimo 22 ottobre presenteremo la terza edizione di ICity Rate, la nostra indagine statistica sulle città italiane. Anche quest’anno si è trattato di un importante impegno della cui necessità, però, siamo sempre più convinti. Come scrive Bloomberg, l’ex sindaco di New York, nell’introdurre l’ultimo libro di Goldsmith: If you can’t measure it, you can’t manage it. Se non la conosci, se non puoi misurare le dinamiche e gli effetti delle politiche di una città, non puoi governarla. E questo è ancor più vero in questi ultimi anni in cui i fenomeni sociali, economici, ambientali e culturali si sono fatti sempre più complessi, articolati e frammentati. Anni in cui sono mutate le stesse categorie sociali  tradizionali creando nuovi ibridi con comportamenti, bisogni ed aspettative diverse. I rapporti venditore-consumatore, dipendente-imprenditore, governanti-governati sono sfumati (Blur, scrivevano Davis e Meyer già diversi anni fa). Per non parlare del mercato del lavoro, dei flussi migratori nelle grandi città, dell’invecchiamento della popolazione, dei bisogni sanitari, etc. Anni in cui le città sono al centro di mutamenti climatici che si trasformano in vere e proprie emergenze sociali (vedi il caso di Genova).

ICity rate è la risposta a queste necessità sempre più impellenti? Sicuramente no. Il nostro rating è però, allo stato attuale, uno dei pochi strumenti aperti che è a disposizione delle città che vogliono migliorare la capacità di comprendere i processi in corso, anche se certamente, da solo, non basta ad interpretarne la complessità.

Citando Goldsmith mi riferivo al suo ultimo libro The Responsive City, la città in grado di rispondere ai diversi bisogni in modo efficace, trasparente e più economico. E per far questo utilizza le metodologie e le nuove  tecnologie per trattare al meglio le informazioni e per trasformarle in conoscenza e poi in decisioni. Assumendo questa prospettiva, di mettere la conoscenza al centro dell’attività di governo di una città, la Responsive City utilizza tutte le informazioni in suo possesso che derivano dal funzionamento urbano sfruttando le metodologie di Data Analysis.  Una Responsive City è una città che sa utilizzare i dataset liberati dai suoi diversi uffici ed è in grado di ottenere i dati provenienti dalle attività private. Se le informazioni sono strategiche, sono infatti un bene comune e la Responsive City deve  decidere quali sono le informazioni private di interesse sociale. A questi si aggiungono i dati prodotti dai cittadini stessi, tramite i sensori embedded in gran parte degli strumenti di uso quotidiano (a cominciare, ovviamente, dai telefoni e dall’automobile) per finire con le informazioni di monitoraggio ambientale.

Le informazioni ci sono, anche le tecnologie, c’è bisogno delle competenza ma soprattutto di una visione politica che condivida la necessità di governare la complessità con nuovi strumenti. Per ora in Italia tutto questo non c’è.

ICity Rate è importante proprio per questo e vuole essere funzione e strumento di un modo diverso di valutare le informazioni. E’ funzionale come strumento gratuito a disposizione di tutti coloro che operano nelle città fornendo un set unico di indicatori come completezza e trasparenza, è strumentale alla diffusione di una nuova cultura di governo delle città che metta la conoscenza al centro dei poteri decisionali.

Come spesso succede, non tutti sono d’accordo con la costruzione di indici e di rating, e mettono l’accento su quel che gli indici non possono misurare, come ad esempio la capacità di reagire a eventi tragici come un’alluvione, e penso ovviamente a Genova. Non possiamo che ripetere a tal proposito che certamente un rating non è una panacea, ma anche ribadire con forza che la conoscenza dei fenomeni, la loro misurazione, la lunga e paziente costruzione di indici condivisi è in sé uno strumento indispensabile per governare il cambiamento e indirizzarlo verso uno sviluppo equo e sostenibile. Per far questo abbiamo elaborato una metodologia, l’abbiamo testata, l’abbiamo condivisa con gli stakeholders, l’abbiamo esplicitata in un sito dedicato aperto a tutti e la mettiamo a disposizione delle città, assieme ai dati che sono accessibili liberamente e agli indici che possono essere navigati, ma anche personalizzati a seconda delle necessità e delle politiche. Questo è il nostro contributo. Chi sa far meglio è benvenuto.

Un’ultima parola sulle classifiche. Non dimentichiamoci che la strada italiana alle smart city è ancora lunga e difficile, il nostro indice ne misura oggi i vincitori di tappa, ma le sfide da superare sono tutte davanti. Il rischio nel continuare a guardarsi nell’ombelico, invece di guardare fatti e numeri, è di smarrirsi e di perdere anche quest’occasione.

ICity rate: a Bologna premiate le città italiane più smart

ICity Lab – dove la I evoca Innovazione, Inclusione, Interazione, Intelligenza – è una iniziativa di FORUM PA che vuole essere di supporto a tutti coloro che operano ai diversi livelli per migliorare le nostre città, ma è anche uno stimolo a impegnarsi sempre di più nei diversi ambiti che caratterizzano una città intelligente. Per questo motivo, oltre a produrre materiali di lavoro e di ricerca, FORUM PA – in occasione dell’apertura della manifestazione Smart City Exhibition il 29 ottobre a Bologna – presenterà i risultati di ICity Rate, la classifica delle città intelligenti italiane. I capoluoghi di provincia italiani sono stati messi a confronto sulla base di oltre cento indicatori riferiti alle dimensioni della governance della città, dell’economia, della mobilità, dell’ambiente, del capitale sociale e della qualità dei servizi che hanno poi permesso di arrivare alla classifica finale.

L’idea di Città Intelligente alla base del rating, quindi, è quella di una città inclusiva e competitiva ben descritta dalla parole del ministro Francesco Profumo: “Al centro della sfida vi è la costruzione di un nuovo genere di bene comune, una grande infrastruttura tecnologica e immateriale che faccia dialogare persone e oggetti, integrando informazioni e generando intelligenza, producendo inclusione e migliorando il nostro vivere quotidiano”.

Il tema della Smart City sarà al centro dei tre giorni di Smart City Exhibition, la manifestazione frutto della partnership tra FORUM PA e Bologna Fiere che darà vita a tre giorni di intenso lavoro presso la Fiera di Bologna il 29/30/31 Ottobre. L’iniziativa si pone come momento centrale nel trend che vede ormai la politica per le città intelligenti come una priorità europea e nazionale.

Le grandi opportunità date dai fondi comunitari e dai bandi nazionali sulle smart city e smart community rendono infatti sempre più necessario, per non essere sprecate, un momento “fondativo” di riflessione e di incontro tra i protagonisti per utilizzare al meglio questa grande occasione di innovazione, costruendo politiche sostenibili, lungimiranti ed effettivamente utili a rispondere ai crescenti e multiformi bisogni che, in questo momento di crisi, esprimono i cittadini.

La manifestazione propone una visione completamente nuova del concetto di città, intesa come insieme di flussi informativi e reti di relazioni e comunicazioni, fisiche e digitali, caratterizzate dalla capacità di creare capitale sociale, benessere per le persone, migliore qualità della vita.

Altrettanto nuova è la sua formula, centrata su momenti partecipativi e qualificati di lavoro collaborativo, sulla presentazione di grandi scenari internazionali, sulla costruzione di nuova cultura condivisa che aiuti a trasformare in Progetto-Paese una serie di iniziative ancora allo stato nascente e non sempre coordinate tra loro.

Gli obiettivi principali di SMART City Exhibition sono, in sintesi:

  • Elaborare in forma collaborativa una definizione condivisa di smart city, ossia mettere in luce i passaggi fondamentali per un approccio strategico e olistico; individuare le politiche settoriali, i nessi tra loro e i percorsi per realizzarle; chiarire il ruolo della tecnologia nei suoi tre livelli: quello della piattaforma di rete, quello degli applicativi verticali (scuola, sanità, welfare, ambiente, energia, mobilità, ecc.), quello delle periferiche, della sensoristica, dei device.
  • Proporre momenti di sensibilizzazione e di formazione per la classe dirigente politica ed amministrativa sul tema delle nuove città.
  • Individuare e divulgare le migliori esperienze italiane e internazionali e identificarne i modelli.
  • Costruire un set di documentazione sui singoli aspetti della smart city che possa costituire una cultura condivisa con il Governo, le città e le imprese e che sia la base su cui costruire le politiche future delle città intelligenti.
  • Confrontarsi sui nuovi modelli di procurement e di partnership pubblico-privata che rendano possibile investimenti lungimiranti per migliorare la qualità del vivere urbano.
  • Offrire ai cittadini e all’opinione pubblica un resoconto puntuale e indipendente sullo stato dell’arte dell’innovazione nelle città, con particolare attenzione alla accountability.

Dal castello alla rete. Ovvero la Pa nell’era Facebook.

l più recente è il “caso Lazio”: a metà ottobre scorso il Presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, vieta, tramite due specifiche direttive, l’accesso a Facebook e ad altri siti “non rilevanti” ai tremila dipendenti della Regione Lazio. La motivazione a sostegno della decisione è stata tanto semplice quanto disarmante: gli impiegati passano troppo tempo, in orario di lavoro, sui social media. Le reazioni sono state molteplici con l’inevitabile tendenza a posizioni manichee. D’altronde siamo sempre stati un popolo a cui piace schierarsi e contrapporsi: dai tempi storici e gloriosi degli “alfisti contro i lancisti” (mi riferisco alle automobili quando erano due marche diverse), dai sostenitori di “Coppi contro Bartali”, alle contrapposizioni meno edificanti contemporanee dei “fannullonisti contro i garantisti”. Non si cerca la dialettica, la comprensione, la contestualizzazione delle fenomenologie ma si arriva direttamente alla sintesi.

Mi ha colpito, tra gli altri, il commento di Andrea Di Maio, autorevole sostenitore dei processi di modernizzazione della pubblica amministrazione in ambito internazionale, che nel suo blog ha commentato la notizia difendendo nella sostanza la decisione perché considerata inevitabile in un contesto in cui i vertici apicali della pubblica amministrazione non sono in grado di valutare l’operato dei propri dipendenti in termini di risultati ed obiettivi. In sintesi, poiché i dirigenti non sono capaci di dirigere è meglio punire i dipendenti limitando la loro discrezionalità.

Cosa vuol dire? Che se in tutto il mondo la pubblica amministrazione sta sperimentando nuove forme organizzative, possibili proprio grazie alle tecnologie dei social media, in Italia è meglio consigliare un arroccamento che tenga buoni i fannulloni? Quale è il modello organizzativo a cui si ispira la gestione pubblica?

Parafrasando (o, meglio, stravolgendo) il titolo dello storico libro di Butera, sembra che il modello emergente da noi debba essere “Dalla Rete al Castello”, ovvero dell’isolamento dei nostri impiegati pubblici da dinamiche che, in altri Paesi, stanno avvicinando la pubblica amministrazione ai linguaggi dei cittadini e che da noi, invece, vengono considerate una minaccia per la produttività.

Ma, forse, anche il Castello rischia di non essere sufficientemente protettivo, perché se mette al riparo dalle minacce esterne, quale la Rete, rischia di non garantire il controllo sulla fuga dalle sue spesse mura verso bar e supermercati, sempre pronti ad accogliere e distogliere i moderni traditori.

Per fortuna che esistono i tornelli, che ci danno la possibilità di emanciparci verso una struttura organizzativa e di controllo ben più moderna ed efficace di quella del Castello e cioè quella del Panopticon, il carcere ideale ideato da Jeremy Bentham [ne avevo già parlato in un precedente editoriale].
Applicando il modello del Panopticon, così come ha fatto Michel Foucault nel descrivere le organizzazioni sociali moderne, alla nostra pubblica amministrazione, possiamo ottenere un formidabile controllo sull’operato dei dipendenti “modificando così indelebilmente il loro carattere”.

Ma è questo che vogliamo? Non credo proprio, così come sono convinto, al di là della provocazione, che quello descritto non sia il modello a cui vogliono ispirarsi i nostri governanti. Si tratta di prendere atto dei cambiamenti oramai inesorabili e condividere una visione comune della forma e del ruolo che dovrebbe avere una pubblica amministrazione moderna, individuando e rimuovendo tutti gli ostacoli che ne impediscono la realizzazione.

Mind the gap! quindi, come abbiamo detto nello scorso editoriale, se vogliamo non inciampare proprio appena prima che il treno parta.

Mind the gap! nel campo dei social media, dove ci piacerebbe vedere una pubblica amministrazione che incentivi i propri dipendenti a usare Facebook per raggiungere il pubblico a cui si riferisce e a offrire servizi integrati nei social media, come sta avvenendo nella gran parte degli altri Paesi avanzati.

Mind the gap! nel campo dei dati pubblici, per una pubblica amministrazione che stimoli l’iniziativa privata (profit o non profit che sia) nella produzione di servizi ai cittadini e alle imprese mettendo a disposizione i propri dati. Una pubblica amministrazione che sposi, quindi, i principi dell’open government promuovendo trasparenza, collaborazione e partecipazione.

Mind the gap! nel campo della ricerca e del trasferimento tecnologico, per un sistema che consideri l’innovazione come fattore determinante per la crescita e lo sviluppo e che favorisca la nascita di imprese innovative.

Mind the gap! nei rapporti con i cittadini, per un pubblica amministrazione che consideri la partecipazione civica elemento imprescindibile nella creazione di valore pubblico.

Mind the gap!, infine, nel campo della gestione delle risorse umane dove la cultura, appunto, del controllo deve finalmente lasciare lo spazio al merito e alla valutazione, alla responsabilità, alla condivisone di obiettivi, alla verifica dei risultati. A tale fine il quadro legislativo, almeno quello nazionale, è completo. Manca però la prassi e spesso manca la coerenza interna.
La cultura della valutazione non può essere assunta a metà, magari solo nel giorno in cui si dovranno distinguere i livelli di performance: essa deve essere pervasiva e quindi deve dettare tutti i comportamenti organizzativi. In questo senso sia i tornelli fisici, che prima citavamo “quia absurdum”, sia i tornelli virtuali, che limitano gli accessi ad Internet, non possono che essere false scorciatoie, in realtà deviazioni fuorvianti, rispetto al compito di orientare tutta la gestione e lo sviluppo delle risorse umane ad un corretto ciclo della performance e, quindi, ad una reale e coraggiosa azione di valutazione dei risultati in termini di output (efficienza), ma anche di outcome (efficacia).
Dalla dirigenza apicale, specie se politica, non vorremmo mai aspettarci soluzioni semplicistiche né porte sbarrate. Vorremmo invece sentir dire ai lavoratori pubblici: “impegnatevi nell’usare intelligentemente e creativamente tutti i mezzi che la tecnologia vi mette a disposizione, così come noi ci impegneremo a valutare senza pregiudizi i vostri risultati”.

Potremmo andare ancora avanti ma qui ci preme mettere in evidenza solo gli argomenti principali della prossima edizione della Manifestazione che, insieme a voi, cercheremo di trattare e di approfondire con la speranza di sostenere il cambiamento di questa pubblica amministrazione dalla forma del Castello a quella della Rete.

Nasce datagov.it

Nasce oggi datagov.it un’iniziativa mirata a sostenere la difffusione della cultura e delle pratiche dell’open government in Italia. Nasce, come gran parte delle iniziative innovative, dal basso, da un gruppo di cittadini, riuniti nell’Associazione Italiana per l’Open Government, “impegnati quotidianamente, con diverse modalità e professionalità, a promuovere l’innovazione all’interno del Paese e in particolar modo della Pubblica Amministrazione in tutte le sue dimensioni centrali e territoriali.”

La prima iniziativa con la quale l’Associazione si presenta è la realizzazione del Manifesto per l’Open Government quale strumento di stimolo per la diffusione, in Italia,  di una cultura della partecipazione.

Qui   la versione completa del Manifesto:

MiaPA

Di MiaPA abbiamo parlato ampiamente, qui di seguiro le slides di presentazione dell’iniziativa

 

Il cittadino al centro

In termini programmatici è difficile trovare qualche amministratore pubblico che non metta al centro del proprio operato i cittadini a cui si dovrebbe riferire. In termini pratici, lo scollamento tra azione pubblica e popolazione amministrata è sempre più ampio. Anche la “speranza tecnologica” sembra tradita. Negli ultimi venti anni, infatti, in modo ricorrente, ci siamo appellati al presunto potere taumaturgico delle nuove tecnologie confondendo il fine con il mezzo, pensando che l’innovazione potesse essere relegata agli uffici dei sistemi informativi piuttosto che promossa e sostenuta dalle giunte politiche e dai decisori pubblici. E i risultati sono quelli che tutti possiamo vedere: la tecnologia, in Italia, non ha avvicinato in modo sostanziale i cittadini ai loro governanti, non ha sviluppato una nuova dimensione di cittadinanza (quella digitale), non ha arricchito le dinamiche della convivenza civile.

Questo risulta ancora più evidente se ci confrontiamo con quello che sta accadendo, invece, soprattutto in alcuni paesi di cultura anglosassone quali gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Australia. Perché, allora, in altri paesi la tecnologia è riuscita a promuovere l’innovazione quando in Italia, invece, ci troviamo davanti ad una rivoluzione incompiuta? Perché quei paesi non cadono nella trappola del determinismo tecnologico per cui è la tecnologia a indurre il cambiamento sociale ma esattamente il contrario: è l’innovazione sociale, politica e culturale che usa la tecnologia per meglio sostenere il cambiamento.

Tornando al coinvolgimento dei cittadini, sono paesi con una profonda tradizione di ascolto, di coinvolgimento del pubblico nella gestione della cosa pubblica basata su principi, regolamenti e metodologie concrete che, nel loro insieme, hanno contribuito a creare una solida cultura partecipativa.

Articolo completo

 

 

Gov. 2.0, facciamo il punto

Il vantaggio per un paese come il nostro che sui temi dell’innovazione insegue, un po’ arrancando, gli altri è che ha la possibilità di arrivare sulle cose quando in altri paesi già si fanno bilanci. E così, mentre in Italia stanno arrivando i primi evangelisti dell’open government, proliferano i post e si rivendicano improbabili primogeniture sui temi emergenti, negli Stati Uniti è tempo di fare il punto sulle cose fatte. Approfitto allora di due eventi recenti per cercare di interpretare lo stato dell’arte. Il primo è il Gov 2.0 summit che si è tenuto a Washington il 7 e l’8 settembre che ho seguito a distanza grazie alla ricchezza dei materiali resi disponibili on line; il secondo, che si è tenuto a Roma il 10 settembre, presso l’Ambasciata degli Stati Uniti, a cui ho invece avuto la possibilità di partecipare direttamente ha registrato la testimonianza, in videoconferenza con gli Stati Uniti, di Stacy Donohue, Clay Johnson e Noel Dickover.

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E-government, indietro tutta

La presentazione dei risultati dell’Egovernment Report ci da l’occasione per riflettere sull’andamento del processo di digitalizzazione della nostra Pubblica Amministrazione. Come è noto il rapporto – curato da Capgemini, dall’istituto di ricerca Rand Europe, dal gruppo di analisi IDC e dal Danish Technological Institute (DTI), per conto dell’European Commission Directorate General for Information Society and Media – è un benchmark in merito ai servizi pubblici on-line erogati dai principali Paesi europei che ha raggiunto la sua ottava edizione e rappresenta quindi un formidabile strumento di analisi delle politiche nei diversi paesi europei.

I risultati complessivi, descritti in circa 180 pagine, purtroppo non fanno che confermare le tendenze già in atto da diversi anni e da noi più volte commentate[1]: la prima fase dell’e-government, inteso quale processo di informatizzazione incentrato prevalentemente sulle strutture e sui processi esistenti, è da considerarsi conclusa con diversi risultati raggiunti, molte aspettative tradite e svariati obiettivi mancati (come, per fare un esempio, quello individuato dalla Dichiarazione Ministeriale di Manchester del 24 novembre del 2005 che prevedeva entro l’anno 2010 la disponibilità on line di tutti gli appalti pubblici dei paesi membri).

Una fase improntata prevalentemente su una logica autoreferenziale e in cui l’utente, come purtroppo già scrivemmo due anni fa, svolge un ruolo marginale: neanche il 50% dei siti europei analizzati soddisfa i criteri individuati di usabilità, il 54% supera l’esame di accessibilità e “nemmeno un terzo dei siti web governativi può essere valutato e commentato dall’utente”. Risultati, questi, decisamente migliori di quelli registrati due anni fa ma ancora lontanissimi da quelle che sono anche le più tiepide aspettative di una società della conoscenza per tutti, nessuno escluso.

In un contesto complessivamente deludente l’Italia non figura essere la prima della classe, tutt’altro. In merito alla maturità e alla completezza dei venti principali servizi di e-government individuati siamo al 18° posto con un valore inferiore anche alla media dei 31 paesi analizzati. Un dato che peggiora se si prendono in considerazione i servizi con il massimo livello di sofisticazione: diventiamo ventesimi e raggiungiamo la media europea di due anni fa (ben lontana da quella di quest’anno).

Risultati analoghi li otteniamo rispetto alle altre dimensioni analizzate dove è impossibile trovare l’Italia ai primi posti delle classifiche stilate. Ma non è questo il punto. Abbiamo detto che il rapporto analizza, con metodo e rigore, una fase che oramai dobbiamo necessariamente considerare esaurita per mancanza di risorse e perché non risponde più alle necessità crescenti delle famiglie e delle imprese. Si tratta allora di guardare avanti e capire come, in un contesto radicalmente cambiato, rendere più efficienti e significativi gli investimenti per la Pubblica Amministrazione digitale. Lo stesso Rapporto indica che “la sfida del futuro sarà modificare la forma mentis delle amministrazioni e cambiare il modello di erogazione dei servizi pubblici, affinché sia in grado di coinvolgere chiaramente il cliente in tutti gli aspetti del processo”.

Un cambiamento culturale che anche noi recentemente abbiamo auspicato e di cui in molti altri paesi si intravedono i caratteri distintivi tramite progetti basati sulla centralità dei cittadini e delle imprese e dove l’amministrazione e la società civile sono partner nel processo di creazione di valore pubblico. Dobbiamo recuperare e recuperare in fretta elaborando anche in Italia una visione condivisa di obiettivi e strumenti per completare il processo di digitalizzazione della nostra pubblica amministrazione. Non si tratta semplicemente di scalare le classifiche dei più bravi ma di garantire un futuro per questo paese.


[1] Confronta: La sfida dell’utente, FORUM PA NET di giovedì 17 gennaio 2008; La prematura fine delle città digitali, FORUM PA del 30 gennaio 2008;
(*) Confronta anche L’innovazione necessaria di Carlo Mochi Sismondi e Il governo della peer administration di Daniela Pillittu.

Riusciremo mai ad andare sulla Luna?

È evidente, purtroppo, l’incapacità dimostrata nel nostro paese nel gestire i progetti complessi che la sfida della modernità ci sottopone. Ne abbiamo parlato recentemente in merito al dibattito  scaturito sulla nostra Protezione Civile: tutto si trasforma in emergenza e viene gestito con procedure straordinarie al di fuori delle prassi amministrative.

Ma perché avviene questo? E, soprattutto, allo stato attuale siamo in grado, parafrasando il titolo dell’ultimo  libro di  William D. Eggers[1], di mandare un uomo sulla luna? E cioè di impegnarci su nuovi grandi progetti, di reintrodurre tecnologie complesse (quali la produzione di energia nucleare come in molti, forse inopportunamente, richiedono), di sostenere il dovuto e necessario processo di modernizzazione della pubblica amministrazione, così da renderla sempre più efficiente nei confronti dei bisogni delle imprese e dei cittadini? Probabilmente, no.

Negli altri paesi, a fronte delle sfide della complessità, la pubblica amministrazione sta cercando nuove forme organizzative che, di fatto, sanciscono il passaggio da una logica di service provider ad una di service facilitator. Per gestire un progetto complesso – come è stato appunto, storicamente, lo sbarco sulla luna, ma come è, ai tempi attuali, la gestione di un’emergenza, la realizzazione di una grande opera, l’organizzazione di un grande evento o anche, più semplicemente, la realizzazione di nuovi servizi – la pubblica amministrazione ha necessariamente bisogno di coinvolgere soggetti esterni, come fornitori, sponsor, enti del non profit, partner, cittadini interessati.

Si tratta, quindi, di “governare la rete”[2] dei diversi soggetti coinvolti, sviluppando un nuovo modello operativo basato:

  • sugli obiettivi da raggiungere piuttosto che sulle procedere;
  • sulla crescita di nuove competenze interne, soprattutto inerenti al project management (come scrive Eggers, si tratta di effettuare la transizione da “rematori” a “timonieri”);
  • sulla partecipazione civica alla creazione di valore pubblico[3] .

Proviamo a fare un esempio concreto con un settore a noi caro e di cui spesso abbiamo parlato in questa sede; un settore che non ha la complessità di un’impresa spaziale o del ponte sullo stretto, ma che impatta sulla qualità dei servizi pubblici offerti alle famiglie e alle imprese: quello della telematica pubblica.

I primi servizi on line della pubblica amministrazione sono scaturiti come emanazione diretta della logica burocratica e gerarchizzata. Utilizzando le proprie competenze interne, gran parte delle pubbliche amministrazioni ha riprodotto on line le proprie funzioni amministrative migliorando, di fatto, la comunicazione con i cittadini ma creando pochissimo valore pubblico nei servizi offerti. Successivamente, la logica gerarchizzata è stata in gran parte abbandonata a favore di una soluzione “esternalizzata”, che ha portato molti enti a bandire gare pubbliche (spesso anche di cospicuo valore economico) per appaltare all’esterno, a soggetti privati, lo sviluppo dei propri siti. Il risultato è noto a tutti: se in alcuni casi questa è stata l’occasione per raggiungere livelli di eccellenza, in molti altri il ricorso a contractors esterni non ha portato ai risultati sperati e molti soldi pubblici sono stati buttati in realizzazioni nate sbagliate o già vecchie.

La complessità sempre crescente delle tecnologie telematiche, i ritmi della loro obsolescenza, la crescente domanda di trasparenza ed efficienza da parte delle famiglie e delle imprese, le risorse pubbliche sempre più limitate non riescono a trovare risposte in questo modello di amministrazione esternalizzata. Ed è proprio partendo da qui, dall’esigenza di sbloccare questa situazione di stallo, che si potrebbe cominciare ad applicare un nuovo modello organizzativo che abbandoni la logica verticale di gestione dei servizi pubblici a favore di una logica orizzontale, in grado di coinvolgere i diversi attori pubblici, privati e del non profit, nel raggiungimento di un obiettivo comune.

Partendo da un tema emergente e centrale come quello della trasparenza dell’azione pubblica, si tratta quindi di sovvertire l’approccio attuale basato sulle procedure a favore di un approccio basato sul raggiungimento dell’obiettivo, coinvolgendo i diversi attori e utilizzando gli strumenti a disposizione. È quello che sta accadendo in molte amministrazioni fuori dall’Italia, dove l’obiettivo dell’Open Government sta scardinando prassi e procedure consolidate a favore di un nuovo modo di gestire la cosa pubblica.

Non si può pensare di cambiare da un giorno all’altro la logica burocratica che appesantisce la nostra pubblica amministrazione, ma si può e si deve pensare, invece, a fare laboratorio di nuovi possibili modi di agire del settore pubblico. È proprio partendo da questi presupposti che al prossimo FORUM PA di maggio continueremo a dare ampio spazio ai temi legati all’Amministrare 2.0. Uno specifico zoom tematico metterà in evidenza le soluzioni e le sperimentazioni in essere, mentre la sezione convegnistica ospiterà momenti di approfondimento e di confronto tra i diversi attori coinvolti. È il caso del 2° incontro nazionale di InnovatoriPA nel quale, tramite la formula del barcamp, si approfondiranno i temi dell’open data, dell’open government, del marketplace delle applicazioni pubbliche, delle linee guida sui siti istituzionali e di rapporti tra social network e PA. E ancora, del seminario gestito da David Osimo su quali prospettive per il “government 2.0” e del laboratorio di Amministrare 2.0, solo per citare alcuni appuntamenti.

Probabilmente non riusciremo ad andare sulla luna, ma a dare un piccolo contributo per svecchiare questa pubblica amministrazione forse sì.


[1]William D. Eggers, If We Can Put a Man on the Moon. Getting Big Things Done in Government, Harvard Business School Press, 2009
[2] William D. Eggers, Stephen Goldsmith, Renato Brunetta (Prefazione), Governare con la rete. Per un nuovo modello di Pubblica Amministrazione, IBL Libri, 2010

Il vento caldo del nordest

Si sono da poco conclusi due eventi in Veneto che ci hanno visto tra i promotori e dai quali sono scaturiti interessanti spunti sul tema dell’Amministrare 2.0 e per la costruzione del Manifesto. Il primo incontro si è tenuto a Padova in occasione del Forum dell’ Innovazione organizzato da FORUM PA insieme al Ministero  per la pubblica amministrazione e l’innovazione e alla Regione Veneto.

Diverse le cose sentite e viste nel campo dell’e-gov per cui provo a fare un primo bilancio a freddo. Le eccellenze che questo primo territorio ci ha presentato sono interessanti, mature ma, forse, sotto alcuni aspetti superate se viste in termini di prospettiva. Diversi i sistemi informativi territoriali presentati basati prevalentemente sulla raccolta,sull’elaborazione e la rappresentazione grafica dei dati. Sistemi maturi, appunto, frutto di un buon utilizzo dell’informatica a livello territoriale che sollevano (e solo a volte risolvono ) i problemi classici di un approccio industriale all’informatizzazione: banche dati che non comunicano, la mancanza di standard, questioni di sicurezza relative alla detenzione centralizzata dei dati.

Fino a qualche mese fa, seguendo una logica basata sull’innovazione incrementale e sull’ottimizzazione dei processi avviati avrei detto che è necessario uno sforzo maggiore magari di coordinamento, per valorizzare le esperienze in corso ma i nuovi approcci che si stanno imponendo nei confronti dei dati publici proposti in ambito internazionale ci impongono di riflettere se la strada fino ad oggi intrapresa sia quella giusta o se, come sempre più spesso viene evocato, sia necessario un cambio completo di paradigma. A questo proposito interessante la metafora utilizzata da Fabrizio Panozzo (Docente di Economia delle Amministrazioni Pubbliche e City Management, Università Ca’ Foscari) intervenendo al workshop su Merito, valutazione e trasparenza che possono essere ben utilizzate per descrivere la cultura telematica attuale all’interno delle pubbliche amministrazioni: quella del panopticon. Come è noto per Jeremy Bentham “l’idea alla base del Panopticon (“che fa vedere tutto”) era quella che – grazie alla forma radiocentrica dell’edificio e ad opportuni accorgimenti architettonici e tecnologici – un unico guardiano potesse osservare (optikon) tutti (pan) i prigionieri in ogni momento”. E’ una metafora forte ma che ben sintetizza l’attuale logica sottesa alla gestione dei dati pubblici. Un soggetto, una struttura raccoglie i dati di tutti gli altri senza che questi possano intervenire o sapere cosa è stato visto o raccolto. Una logica che ha spesso prodotto delle anomalie per cui, ad esempio all’interno della pubblica amministrazione, il “guardiano ” non condivide le informazioni nemmeno con gli altri uffici all’interno dello stesso ente.

Il secondo evento che ha contributo a sollevare questo vento caldo di idee e di riflessioni proveniente dal nordest è stato il Veneziacamp 2009 “tre giorni di condivisione, confronto e crescita; per promuovere i temi dell’innovazione e dell’etica per la cittadinanza digitale”. Tanti gli eventi e gli incontri ma vorrei soffermarmi, perché in linea con il ragionamento avviato, sull’incontro di lavoro organizzato sul Manifesto per l’Amministrazione 2.0. L’idea del Manifesto sta piacendo. Sono molti gli enti locali che ci hanno chiesto di sottoscriverlo così come sono tante le idee scaturite per far si che il Manifesto possa essere più incisivo possibile all’interno dell’attuale fase di modernizzazione della PA italiana. Una nuova versione del documento emendata sarà presto disponibile e includerà un punto dal quale tutti sono stati concordi è oramai impossibile prescindere: quello, appunto, della trasparenza e dell’accesso ai dati pubblici. Ne parla oggi anche David Osimo in un’intervista pubblicata sul nostro portale elaborando, tra le altre cose il concetto per cui le pubbliche amministrazioni dovrebbero gestire i dati creando “piattaforme finalizzate alla creazione di valore pubblico”. Come evidenzia Osimo questo non significa che i cittadini si debbano sostituire alla PA ma che diventano parte integrante per la creazione di valore.

E’ evidente, da quest’ottica, la necessità di cambio di paradigma che più volte abbiamo sostenuto: passare dal principio del panopticon a quello dell’anopticon per cui sono i “sorvegliati” o , uscendo dalla metafora, i cittadini che vedono cosa accade all’interno della pubblica amministrazione, che partecipano alla raccolta dei dati e alla loro elaborazione e diffusione.

Cosa si intende per gov 2.0

Breve ma efficace presentazione dei principi del gov 2.0 da parte della Sunlight Foundation.

Amministrare 2.0: il Manifesto

Un’amministrazione 2.0 è un’amministrazione che si mette dalla parte dei cittadini e che con i cittadini stabilisce una relazione bidirezionale, perché è consapevole che nessuno meglio di loro può valutare servizi e progetti, segnalare eventuali criticità, manifestare esigenze e bisogni e fare proposte per soddisfarli. Ma c’è di più: è un’amministrazione che sceglie di improntare tutti i suoi processi, anche quelli interni, sui principi della condivisione e della collaborazione, di sfruttare l’intelligenza collettiva coinvolgendo le risorse a sua disposizione per migliorare la gestione interna e l’efficienza dei servizi offerti. E, infine, è un’amministrazione che sceglie di fare tutto questo sfruttando le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e dagli strumenti del web 2.0 e mettendoli al servizio di un nuovo approccio nei rapporti con il cittadino.

E’ questa la premessa che presenta il Manifesto Amministrare 2.0, un documento in progress che diversi attori o network quali FORUMPA, Formez, il Comune di Venezia, il Club di Amministrare 2.0, Artea Studio e Innovatori PA stanno promuovendo con lo scopo di proporre una visione condivisa per favorire la modernizzazione della PA digitale.

A fronte di una situazione di stallo del processo di telematizzazione della PA, si legge nel documento, ci sono però degli enti locali che hanno continuato a sperimentare le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie al fine di migliorare la qualità dei servizi offerti ai cittadini e favorire la loro partecipazione alla gestione della cosa pubblica. Sono le amministrazioni locali che hanno promosso una telematica pubblica di secondo livello improntata su una logica relazionale e partecipativa, che hanno approfondito e applicato gli strumenti del Web 2.0, che hanno rimesso i cittadini al centro del processo di sviluppo della PA digitale. Sono un numero ridotto gli enti che si sono avventurati in questa direzione ma rappresentano una minoranza le cui esperienze possono rappresentare uno stimolo per riavviare l’intero settore. Queste amministrazioni hanno spesso implementato anche strumenti di partecipazione e di collaborazione interattivi all’interno delle stesse organizzazioni, permettendo così la diffusione e l’arricchimento dei saperi già presenti nelle risorse umane impiegate, ma che in molti casi restano inespressi.

Da qui nasce l’idea di un’iniziativa, il Manifesto Amministrare 2.0, in grado di valorizzare l’esperienze già realizzate arrichendole dei contributi di coloro che a diverso titolo sono interessati alla diffusione di una moderna PA digitale. Il processo di elaborazione del Manifesto ha già registrato momenti importanti di lavoro e di condivisione di idee e proposte: lo scorso 6 febbraio a Venezia nel corso della prima riunione con alcune amministrazioni locali (Venezia, Monza, Parma, Reggio Emilia, Trieste e Udine) è scaturito un programma di lavoro che poi è stato ripreso e approfondito nell’ambito di un incontro organizzato all’interno dell’ultimo FORUM PA e a cui hanno partecipato circa 70 persone tra esperti, amministratori pubblici e aziende. Sia gli incontri sia la collaborazione on line sono gestiti seguendo una metodologia per favorire la più ampia partecipazione nell’elaborazione del Manifesto.

Il prossimo appuntamento di lavoro di elaborazione del Manifesto è il VeneziaCamp2009 che si terrà nei giorni 23, 24 e 25 ottobre dove è stata prevista un’apposita sezione dedicata alla presentazione e all’elaborazione del Manifesto mentre per coloro che non potranno venire il wiki sarà lo spazio di riferimento per aggiornarsi . Per partecipare all’evento è necessaria la registrazione gratutita.

Per riprendere i ragionamenti su Amministrare 2.0 e la cittadinanza digitale

La migliore occasione è il prossimo Barcamp organizzato a Venezia per il 23-24-25 ottobre. Tre giorni densi di appuntamenti e di incontri  e momento ideale per riprendere i ragionamenti avviati all’ultimo FORUM PA.

A Venezia, infatti, porteremo il documento di sintesi (verso il Manifesto?) elaborato proprio a seguito degli incontri di Maggio così da arricchirlo con nuove idee e contributi in una logica di lavoro sempre in progress.

Il futuro della rete

Cercando di restituire un po’ dell’enorme mole dei materiali prodotti nell’ambito dell’ultimo FORUM PA comincio con gli approfondimenti relativi a Il futuro della rete. Di seguito la presentazione dei risultati della prima ricerca.

Amministare 2.0

Ci siamo incontrati  la scorsa settimana, ospiti del comune di Venezia, con un primo gruppo di città italiane per ragionare sulle possibili evoluzioni della PA digitale. Un tema centrale, trattato giovedì anche da Il Sole 24 Ore.

Diversi gli innovatori presenti a cominciare dal nostro ospite Michele Vianello e del vulcanico Gigi Cogo.

Di seguito la mia presentazione mentre sul sito FORUM PA trovate i dettagli:

E-government, la strada è ancora lunga

Al post precedente associo questo riferimento ad un articolo di Caravita dal titolo curiosamente coerente con quello precedente. “E-government, avanti!” ha scritto Retecamere, “E-government, la strada è ancora lunga”, commenta Caravita.

La sostanza è quella che abbiamo più volte evidenziato anche in questa sede: il fallimento della telematica quale strumento in grado di fornire servizi più efficienti ai cittadini, il cui utilizzo è stato limitato, ad oggi, a soluzioni di carattere prevalentemente informativo.

La possibile rinascita delle città digitali

In diverse occasioni abbiamo messo in evidenza la necessità di riflettere sulle esperienze e sui risultati del processo di e-governement così come si è configurato negli ultimi dieci anni, convinti che i risultati ottenuti fino ad oggi abbiano portato frutti apprezzabili, ma non all’altezza delle aspettative e alle potenzialità della telematica cittadina. Proprio per questo abbiamo parlato di “prematura fine delle città digitali” intendo, con questa espressione, la fine di un processo virtuoso in crisi di identità e di prospettive che ha lasciato almeno tre punti irrisolti: abbandono della logica di governance originaria, incompletezza dell’offerta, fallimento dell’offerta.

L’abbandono della logica di governance originaria. La città digitale non può che essere improntata su una logica collaborativa dei diversi attori locali impegnati a definire gli obiettivi per raggiungere una visione condivisa del ruolo della telematica locale. Gran parte delle iniziative, invece, si sono sviluppate come esperienze isolate dei diversi soggetti locali con pochissima propensione alla collaborazione tra attori diversi.

L’incompletezza dell’offerta. Anche dalla prospettiva della logica istituzionale adottata, i cambiamenti e le iniziative si sono limitati ad introdurre nuove modalità (telematiche) per fornire informazioni ai cittadini o per erogare servizi. Pochissimo è stato fatto nel cosiddetto back-office, dove le nuove tecnologie avrebbero potuto portare grandi innovazioni dal punto di vista dell’efficienza e delle prassi burocratiche.

Il fallimento delle politiche di inclusione. I servizi telematici cittadini piuttosto che favorire l’inclusione e la partecipazione tra le diverse categorie sociali e culturali hanno, a conti fatti, aumentato il divario fra queste. Alle povertà ed alle esclusioni materiali si sono aggiunte quelle tra coloro che hanno le possibilità e le capacità di accedere alle informazioni e ai servizi on line e quelli che, invece, sono di fatto esclusi da tale servizi.

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Un po’ di democrazia

Dovendo partecipare a una cena di lavoro di discussione sui temi dell’e-democracy, ho fatto il punto su alcuni documenti più o meno recenti.

Per cominciare ho fatto una ricerca su internet partendo dal nostro SaperiPA e cercando il termine e-democracy che mi ha restituito dieci contributi presentati alla scorsa edizione di ForumPA tutti di grandi valore.

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